Dal 2010 l’industria utilizza un nuovo tipo di robot in grado di interagire con gli addetti alla produzione condividendo con loro lo stesso spazio di lavoro. Si chiamano robot collaborativi, o cobot. I cobot si differenziano dai robot convenzionali per quanto riguarda l’interazione macchina-lavoratore; accompagnano i lavoratori, li assistono e li aiutano a svolgere le loro mansioni. Tuttavia, questo cambiamento tecnologico porta con sé anche nuovi rischi, soprattutto nella produzione: rischi di collisioni involontarie con gli operatori, rischi di disturbi muscoloscheletrici (DMS) (anche se i cobot sono progettati per prevenire tali problemi, gli operatori devono imparare a utilizzarli in modo adeguato per limitarli o prevenirli), rischi psicologici e sociali (carichi cognitivi legati al lavoro vicino ad una macchina in movimento che a volte dettano il ritmo di lavoro), ecc.
Sono stati condotti diversi studi per indagare su questi problemi formulando raccomandazioni per la salute e la sicurezza per gli operatori relativi all’uso dei cobot in un ambiente collaborativo e, in secondo luogo, per informare le parti interessate (integratori) sulle questioni relative alla realizzazione di sistemi cobot. I processi nel settore integrazione di robot collaborativi si articolano tipicamente in due parti: una parte teorica incentrata sull’esame dei modelli di cobot esistenti, una parte pratica che si concentra sulla situazione reale sul campo.
Lo scopo della parte teorica è quello di valutare come le funzioni di sicurezza del robot, che vengono elaborate da schede elettroniche di sicurezza, garantiscano la protezione dell’operatore nell’ambito delle quattro modalità di funzionamento collaborativo stabilite dalla norma ISO 10218:2011:
Secondo la norma ISO 13849-1:2015, una funzione di sicurezza di una macchina è una funzione il cui il guasto può comportare un aumento immediato dei rischi per la sicurezza fisica di una persona. Ad esempio, l’arresto di emergenza di una macchina è sviluppato su una funzione di sicurezza.
La parte teorica si sviluppa analizzando il materiale tecnico di riferimento dei robot impiegati che siano robot progettati per essere collaborativi(leggeri) o robot convenzionali convertiti in cobot. Diversi casi studio nella parte teorica dimostrano che per rendere sicura una modalità operativa collaborativa è necessario combinare una serie di funzioni di sicurezza a seconda del robot impiegato. Il livello di prestazioni impostato dal costruttore per un controllore di sicurezza non è una garanzia del livello di prestazioni complessivo della funzione di sicurezza elaborata dal controllore. A volte la scheda elettronica del controllore esegue solo la parte “elaborazione del segnale” delle funzioni di sicurezza. L’integratore che acquista un robot collaborativo equipaggiato con un controllore che soddisfa il livello di prestazioni stabilito dalle norme non deve presumere che le funzioni di sicurezza del cobot soddisfino necessariamente i requisiti delle norme armonizzate. Le funzioni di sicurezza di un robot spesso devono essere integrate con l’aggiunta di un componente di ingresso, come ad esempio un dispositivo di rilevamento della presenza. In alcuni casi, i vincoli ambientali possono essere un fattore determinante nella scelta di un dispositivo di rilevamento. La scelta del componente giusto è fondamentale, perché se le sue prestazioni di sicurezza sono inferiori a quelle del componente di elaborazione, la funzione di sicurezza sarà meno affidabile. I requisiti delle norme raccomandano i cosiddetti componenti di sicurezza.
Lo scopo della parte pratica è quello di raccogliere informazioni su come viene affrontato l’argomento sicurezza nei progetti di integrazione con i cobot. In questo caso occorre tener presente tre scenari:
La parte pratica sul campo tendenzialmente dimostra che la cobotica intesa come l’impiego coerente dei robot collaborativi è ancora agli albori. Le aziende che integrano i cobot, fanno le loro scelte in base:
Quindi, le aziende si stanno rivolgendo ai cobot non perchè vanno a rispondere ad una esigenza reale di interazione uomo-macchina nella produzione, ma piuttosto per ragioni finanziarie, di disponibilità di spazio in produzione e di ricerca di soluzioni nell’ambito della esclusione di determinate categorie di lavoratori da determinate mansioni per garantirne la sicurezza.
Gli integratori che abbiamo incontrato hanno confermato che progettare un’installazione cobotica è un compito complesso perché la tecnologia è nuova e comporta alcuni requisiti di sicurezza molto specifici. Il passo più difficile, è la valutazione del rischio. Spesso si limita all’identificazione del rischio. Ma per sapere se un robot può essere utilizzato in un contesto collaborativo, occorre almeno stimare i rischi dell’installazione per determinare il PL minimo richiesto. Il livello di prestazione delle funzioni di sicurezza deve essere uguale o superiore a quello minimo stimato e deve essere coerente con l’analisi dei rischi associati al funzionamento collaborativo. Infine, affinché la sicurezza sia un fattore decisivo e determinante dell’integrazione, essa deve essere inclusa in ogni funzionalità pianificata dell’applicazione collaborativa. Questa analisi deve essere attuata attraverso una accurata validazione dei contatti potenziali e avviando un profondo dialogo che coinvolga il cliente EU, l’integratore e gli operatori. Spesso gli operatori non sono molto coinvolti nel processo di determinazione dei bisogni e dell’integrazione. In realtà l’analisi dei rischi nel processo di valutazione in cobotica deve necessariamente essere condotta incorporando l’analisi dell’attività degli operatori e delle loro competenze.
Per quanto riguarda la riduzione del rischio, vale la pena approfondire:
In sintesi, l’utilizzo di robot collaborativi non significa sistematicamente che non siano più necessarie altre protezioni. La valutazione del rischio è sempre necessaria nella fase di integrazione, come specificato nei manuali di riferimento dei produttori e nelle norme sulla cobotica. A seconda del grado di accettabilità del rischio in questione, possono essere necessarie delle contromisure.
I robot industriali pesanti e di grandi dimensioni sono all’ordine del giorno nelle fabbriche come alternativa più efficiente ai lavoratori manuali per le attività ripetitive della catena di montaggio. Le macchine non rallentano mai, non commettono mai errori e non richiedono mai tempo di riposo. Altresì prevedono un tempo più lungo per quanto riguarda il recupero dell’investimento e tendenzialmente forniscono una automazione rigida, richiedono una riprogrammazione e un riattrezzamento dispendiosi in termini di tempo per passare a nuovi compiti.
Questo rende i robot industriali adatti a processi ad alta velocità e ad alto volume, dove un prodotto viene costruito per anni senza modifiche. Un esempio è la saldatura di telai automobilistici: gli esseri umani non sono così bravi in compiti altamente ripetitivi perché si stancano e perdono la concentrazione. Ma gli esseri umani sono abili, flessibili e adatti a risolvere i problemi. Inoltre il lavoro umano è relativamente meno costoso. Questo rende l’uomo adatto a lavori di assemblaggio complessi e ad alta variabilità, come il montaggio degli interni di un’auto con molteplici opzioni a scelta del committente.
I robot collaborativi sono robot industriali leggeri, progettati per colmare le lacune in produzione, lavorando a stretto contatto con gli esseri umani per portare l’automazione a compiti che in precedenza era impensabile automatizzare. I cobot offrono significativi aumenti di produttività, mentre gli esseri umani si concentrano sulla manutenzione di un mix di prodotti il cui processo di produzione è in rapido cambiamento.
La “collaborazione” funziona. Il tempo di inattività degli esseri umani viene ridotto dell’85% quando sono assistiti da robot collaborativi. Per esempio, un robot collaborativo potrebbe prendere un oggetto pesante da un’area di stoccaggio situata vicino alla linea e portarlo nella sua posizione corretta per la produzione, allo stesso tempo un essere umano può lavorare per montare particolari direttamente sull’oggetto, effettuare collegamenti “scomodi da raggiungere” sfruttando il cobot come posizionatore e allineare con precisione l’oggetto prima di fissarlo in una sede. I robot collaborativi trovano lavoro anche in luoghi come le linee di assemblaggio di prodotti complessi, dove ad esempio le operazioni di prelievo, incollaggio e pressatura sono completate dal cobot, mentre gli operatori umani montano parti non rigide, in cui occorre destrezza per la loro integrazione. I cobot per la maggior parte lavorano nelle fabbriche di elettronica di consumo, sono più piccoli, più leggeri e meno costosi quando integrati dei robot industriali. Spesso prendono in prestito alcune tecnologie dai loro cugini più grandi, come i motori, i riduttori, gli algoritmi di movimento, ma la tecnologia che permette la collaboratività è raffinata, snella e maggiormente fruibile.
La programmazione di un movimento del cobot è molto più semplice di quella richiesta per un robot industriale e a volte è possibile realizzarla guidando manualmente il braccio lungo la traiettoria necessaria. È così semplice che può essere eseguita da un operatore con poca esperienza di programmmazione piuttosto che da un tecnico specializzato in robotica. La manutenzione è semplificata, quindi le aziende più piccole, senza alcuna esperienza di robotica precedente, possono potenzialmente gestirla. Poiché i robot collaborativi condividono lo stesso spazio di lavoro con gli esseri umani, contengono sensori di coppia e potenza di calcolo per garantire che se avviene un contatto tra uomo e robot forza, potenza velocità proprie del movimento sono limitate prevenendo le lesioni.
Oggi, i cobot portano l’automazione a compiti di assemblaggio che in precedenza erano completati da esseri umani, permettendo quei lavoratori di concentrarsi su lavori più intellettuali e gratificanti. Domani, i robot collaborativi potrebbero garantire che le linee di produzione continuino a funzionare in luoghi in cui la manodopera umana a basso costo scarseggia.